Uomo a mare

La manovra classica se si ha accesso il motore, quella in genere richiesta per il conseguimento della patente nautica, prevede di mettere subito il timone dal lato di caduta del naufrago, lanciare un salvagente anulare (di notte in più una boetta luminosa), chiamare l’equipaggio in coperta, e quando lo scafo ha accostato intorno ai 70 gradi, invertire lato al timone fino ad assumere rotta inversa a quella iniziale. Procedendo in tal modo lo scafo descriverà un arco completo (curva di Williamson) fino a tornare nei pressi del naufrago, il quale verrà avvicinato sottovento (se l’imbarcazione non è grande), ponendo il motore in folle all’arrivo sullo stesso. Nel caso del recupero a vela, mettersi immediatamente al traverso, chiamare l’equipaggio in coperta, strambare e tornare verso il naufrago sempre al traverso, orzando verso di lui per arrivarci molto vicino, con la prua al vento e la barca quasi ferma. L’ Isaf ( l’associazione internazionale della vela) consiglia una manovra molto più rapida, che prevede di orzare immediatamente fino a mettere la prua al vento per rallentare la barca, virare con il fiocco a collo, avvolgerlo o ammainarlo subito dopo e, con la sola randa, completare il giro nelle vicinanze del naufrago, strambando quando è poco a poppavia del traverso e orzando nuovamente verso di lui, in modo da arrivarci molto vicino con la prua al vento e quasi fermi. Quando si parla del recupero del uomo a mare i pareri non sono sempre concordi. Rapidità ed efficacia infatti non vanno sempre d’accordo. Finchè le condizioni del mare sono buone può “andare bene tutto” i problemi vengono fuori quando le condizioni peggiorano. Visibilità ridotta e mare formato, infatti, non permettono deroghe alla regola di comportamento che dà priorità assoluta, non appena chi è a bordo si è reso conto della situazione, al lancio in mare del galleggiante che abbia o no il radio segnale. In queste situazioni manca infatti il riferimento della propria scia e anche se, avendo rilevato sulla bussola la rotta seguita al momento dell’incidente, si riuscisse ad accostare di 180 gradi tornado su una rotta parallela alla precedente, bisogna tenere presente che mare e vento, durante la manovra, possono aver fatto scarrocciare la barca abbastanza da rendere invisibile il naufrago anche nel caso che ci si trovi alla sua altezza. L’unica possibilità di tornare con precisione sul luogo dell’incidente, avendone la certezza, è quella offerta dalla immediata lettura del punto nave su un GPS. A questo proposito ormai su ogni chartplotter c’è il tasto di uomo a mare che permette, una volta selezionato, di memorizzare il punto dell’incidente. I questo caso, però, l’essere ritornati sul punto esatto non garantisce il ritrovamento, perchè anche il naufrago viene spinto dal mare e dal vento, per cui potrebbe non essere più dove è caduto in mare. Il ritrovamento del salvagente aiuta a non perdere la fiducia ma non garantisce il risultato. Posto che la fortuna abbia aiutato le ricerche, si dovrà fare in modo di recuperare il naufrago evitando che i danni che non si sono prodotti prima si verifichino dopo. Il recupero del naufrago con un salvagente legato a una cima rimane è la possibilità più concreta. Stando sottovento al naufrago, si getta in mare un salvagente anulare legato ad una cima che si lascia filare, (una estremità è legata alla barca) tirando indietro il salvagente mentre si avvicina al naufrago. Arrivati sopravvento, si avrà il salvagente oltre il naufrago in linea con lui, in modo che il naufrago potrà afferrare la cima. Quindi è il momento di mettere la prua contro il mare, e con il motore in folle, si recupera la cima in modo da poter portare avvicinare il naufrago alla barca e recuperarlo.

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